Le proporzioni del fenomeno migratorio proveniente dall’Africa sub-shariana, nell’ultimo anno, (con una crescita esponenziale del numero degli sbarchi in sincronia con l’insediamento in Italia di un governo di destra) hanno in qualche modo oscurato la memoria della prima ondata migratoria proveniente dai paesi arabi, negli anni novanta, romanticamente definita “viaggi della speranza”.
Non deve però andare in prescrizione il diritto di comprendere appieno quanto ieri è accaduto nel bacino del Mediterraneo, e che continua oggi ad accadere: è possibile comprendere le vicende in corso solo se si comprendono quelle passate.
Questo studio si propone di offrire chiavi lettura utili in tal senso.
Non si può nemmeno dire che “non è stato detto tutto” in materia di immigrazione: in realtà non è stato detto ancora niente.
Manipolazione mentale di massa
L’idea corrente è che non si possono respingere dei “disperati”.
Idea condivisibile perchè cristianamente ovvia, ma alla condizione che la qualifica di “disperati” risponda a realtà. Ora, nè il primo flusso migratorio, arabo-musulmano, né l’attuale proveniente dall’Africa sub-sahariana, ha portato in Europa gente che in patria non ha di che vivere.
Ne prenderemo atto lungo la trattazione, insieme a tanto altro, ma vale anticipare il tema almeno con una nota. Dichiarava a riguardo, in un’intervista del 2018, la prof.ssa Anna Bono, africanista, già ricercatore in Storia delle Istituzioni dell’Africa all’Università di Torino: (1)
“…esiste sul tema dell’immigrazione un falso mito: la maggioranza non fugge da situazioni di estrema povertà. In genere sono persone provenienti da centri urbani, ed è lì che maturano l’idea di lasciare il Paese. Dunque mi sembra corretto sostenere che il grosso dei migranti appartenga al ceto medio: persone non ricche, ma nemmeno povere”(…)
“Ritengo importante citare il Ministro dei Senegalesi all’Estero, che un paio d’anni fa ha detto in un’intervista: “ Qui non parte gente che non ha nulla, parte gente che vuole di più
Perchè allora il sistema mediatico, sin dall’inizio degli anni novanta, ha radicato nell’immaginario collettivo l’idea della “disperazione” dei migranti?
Perchè solo a queste condizioni l’opinione pubblica avrebbe accettato gli sbarchi e qualcuno, in Occidente, questo voleva. Si è sempre trattato e si tratta, in realtà, di una manipolazione mentale di massa.
Ne prendiamo atto dal quadro passato ( e attuale, peraltro) degli eventi, ove due sistemi organizzativi sono sempre in perfetta sinergia tra loro.
In partenza, il sistema organizzativo dei trafficanti di uomini, perennemente impunito e indisturbato. All’arrivo, il sistema politico e mediatico che celebra il culto dell’accoglienza sempre e comunque, con il sottinteso che, chiunque non accetti tutto questo, meriti la gogna.
Eppure restano ancora sospese – e sono trent’anni- domande fondamentali.
Quali ragioni spingevano i migranti a imbarcarsi clandestinamente su mezzi di fortuna, quando non vi era notizia, dai paesi di provenienza, né di calamità, né di fame, né di guerre? Eppure il sistema europeo ha accettato il fenomeno migratorio senza fiatare, senza porre domande, senza indagarne le cause, distribuendo in gran fretta a tutti i clandestini la patente di “disperati”.
Beninteso, non stiamo qui negando che ogni uomo abbia il diritto di aspirare a una vita migliore. Neghiamo piuttosto che sia dato appaltare psicodrammi collettivi per obbligare all’accoglienza immigrati clandestini, arabi e africani, che non sono più disperati di un disoccupato italiano con moglie e tre figli.
Va poi notato, di sfuggita, che anche gli europei sono uomini, in quanto tali portatori di diritti, compreso quello di non subire invasioni mascherate da migrazioni.
“ Non esiste un diritto di invasione dell’Italia, né un dovere dell’Italia di lasciarsi invadere“.
1998, Mons. Alessando Maggiolini, allora vescovo di Como (2)
Le tragedie che hanno funestato in questi anni l’immigrazione, non nobilitano l’inganno dei “viaggi della speranza”.
Siamo di fronte ad un’ingegneria sociale pianificata dai poteri globalisti, tesa a ridisegnare una nuova Europa multietnica e multiculturale, svuotata di identità e quindi di forza. Per questo, più governabile da quel governo unico del mondo cui aspirano i poteri forti, eternamente supportati dai progressisti nostrani e d’oltreoceano. E’ la promessa della scristianizzazione del Vecchio Continente, corredo naturale dell’immigrazione arabo-africana, che alletta i progressisti, da trent’anni impegnati per questo motivo a offrire sponda all’immigrazione.
I progressisti sacrificano volentieri il loro laicismo in cambio di una trasfusione di islam, meglio se fondamentalista, pur di distruggere l’odiata società conservatrice e cristiana. Annotava nel 2007 Habib Sghaier, musulmano moderato, allora presidente dell’Acsi (Associazione comunità stranieri in Italia):
“Circa la metà delle moschee del nostro Paese sono controllate da imam oltranzisti. I soldi non sono un problema se si tratta di diffondere l’Islam fondamentalista. Provvede qualcuno dall’estero: Arabia Saudita, Pakistan, Emirati del Golfo. Un flusso costante. E con i soldi arrivano mullah, muyaheddin, propagandisti. Stanno nel nostro Paese poche settimane passando da una moschea all’altra”. (3)
Non bastava, tutto questo, per imporre prudenza, per stringere le maglie di un’accoglienza ubriaca? Eppure è accaduto il contrario.
Lungo un trentennio le autorità europee, in sinergia con la sinistra borghese, hanno fatto a gara nel predicare accoglienza, innalzando forche mediatiche per chiunque lanciasse allarmi.
Anche il presidente USA Bush Jr, inspiegabilmente, ha regalato all’immigrazione araba un prezioso “silenzio-assenso”. Bush da una parte dichiarava guerra all’islam in Afghanistan e disseminava l’Europa di prigioni segrete predisposte per i terroristi islamici pronti “ a colpire gli intereressi degli Stati Uniti “, dall’altra non aveva nulla da eccepire a che masse islamiche si riversassero in Europa, benchè provenienti da paesi ad alta densità terroristica.
Complice di questa inerzia, la Nato ha ugualmente taciuto. Non vi è notizia di una sola iniziativa della Nato in materia di flussi migratori, né in termini di informazione, né di prevenzione né di contenimento.
Un “lasciar fare” dettato da umanitarismo? Ipotesi amena.
Nella guerra dei Balcani gli aerei Nato, dietro consegna americana, hanno bombardato obiettivi civili, in Serbia, per 78 giorni consecutivi: si cerchi altrove l’umanitarismo. I conti non tornano.
Domande senza risposta
I primi flussi migratori, via terra, presero avvio dal Nord Africa alla fine degli anni 80. Sorsero ovunque problemi di ordine pubblico, perché assai spesso i clandestini vivevano, impunemente, di delinquenza. (come oggi, del resto).
La diffusa sensazione era che vi fosse qualcosa di non detto, una sensazione non solo “di destra”. Scriveva sull’ Espresso, nel 1990,Giorgio Bocca:
“Dalle notizie sparse nelle cronache italiane veniamo a sapere che il numero degli immigrati che spacciano droga è in continuo aumento e che le loro casbah diventano sempre meno frequentabili. A Torino i vigili urbani che si avventurano nel quartiere di Murazzi , in riva al Po, possono trovarsi circondati da spacciatori armati di spranghe e bottiglie rotte (…)
La pervicacia con cui i nostri grandi partiti, i nostri politici, legiferano sempre in astratto, senza mai tener conto di quello che poi immancabilmente avviene nella pratica, diffonde sospetti.
Ci si chiede: ma quali interessi ci saranno dietro questa permissività verso gli immigrati? “ (4)
Di lì a poco, nell’ottobre 1992 , l’immigrazione clandestina prese la via del mare con il primo sbarco a Lampedusa di settantuno tunisini, che furono ospitati per un mese dai Carabinieri, dal parroco e dalla popolazione. Infine fu pagato loro il viaggio per Porto Empedocle e nessuno seppe mai più nulla di loro.
Il comandante della stazione dei Carabinieri precisò che questi individui non spiegarono i motivi del loro gesto, e riportò le parole di uno di loro, che parlava italiano: “…ci disse che loro erano i primi ma che ne sarebbero giunti tanti altri. Nessuno di noi capì che cosa intendeva. Solo dopo capimmo quello che stava accadendo.“ (5) Quei tunisini non erano “disperati” ma osservatori, evidentemente con il compito di valutare e riferire.
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Nel pubblico dibattito non vi è mai stata attenzione per la qualità di vita dei migranti nelle loro patrie, ma solo per la qualità dell’accoglienza, nelle nostre.
Se la vita dei migranti, nei paesi di provenienza, fosse stata davvero “impossibile”, non sarebbe stata cosa ovvia per le Nazioni Unite, per le istituzioni umanitarie, per le Ong sempre alla ricerca di qualcuno da soccorrere, aiutare i migranti nelle loro patrie come sempre accade attraverso i programmi di aiuto?
Se un paese povero è colpito da una calamità naturale o da una carestia, la comunità internazionale fa l’immediato possibile per assistere la popolazione.
Nel giro di poche ore i media ne danno notizia, le Nazioni Unite si attivano e le organizzazione umanitarie cominciano ad affluire verso il paese colpito, secondo un principio universale fatto proprio da Benedetto XVI che dichiarava: “Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra” (6)
In specie, tutti i paesi di provenienza dei migranti erano e sono membri dell’ONU e della Lega musulmana mondiale. Perché l’alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite non ha aperto dibattiti sulla presunta povertà insopportabile del Nord Africa e del Medio Oriente, quando l’ONU campa di dibattiti?
Perché l’Arabia, presidente della Lega musulmana mondiale, non ha fatto sentire la sua voce e non ha fatto circolare le sue illimitate risorse finanziarie per risparmiare ai fedeli musulmani l’emigrazione nell’Europa degli infedeli? I conti non tornano.
Note
1) Cfr. “ In terris”, mercoledì 11 luglio 2018
2)“ il Giornale”, 29 novembre 1998
3) “ il Giornale”, 1 aprile 2007
4) Settimanale ESPRESSO, 11 marzo 1990, pag. 17.
5) giornale online “La Repubblica Palermo.it”, 7 luglio 2013 palermo.repubblica.it/cronaca/2013/07/07/news/storia_di_carletto
6) Dal discorso tenuto dal Pontefice il 5 agosto 2013, in occasione della “Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato”.